
Premessa:
1. ho già fatto il mio dovere di casalinga – sveglia alle 6,30 / colazione/ figliagrande&compagno alla loro quotidianità / stesi 2 bucati / stirato q.b. / raccolto pallette di pelo felino/rimessa a dormire la minina – posso dedicarmi al blog, prima di cominciare con il resto, o no?
2. sono un topo di città, ancora dopo 13 anni. costantemente presa in giro per la mia milanesità dal compagno, perchè quaggiù in terra di risaie, e a quota 700 abitanti, la milanesità è un pò come il demonio.
altrove ho già scritto di questa appartenenza e mancanza.

anche se milano non è più il posto che ricordo.
citta scomparsa e spazzata via dalla milano-da-bere degli anni ottanta, dall’arroganza del glamour e della moda danarosa, che si è frullata una cultura della sobrietà, della discrezione, della solidarietà mai esibita, in realtà si è frullata via anche tutta una cultura residente, abbagliata dall’idea che l’insieme creato da
fabbrichééééetta
macchinééééetta (=ferrarino)
barchééééetta (yacht)
amichééééetta (amante) fossero un ideale, uno stile, un savoir faire e non una semplice esibizione dell’assenza di altro.
il nostro papi ne è l’epigono, come molti avranno capito.
quella discrezione e quel sotto tono, a cui mi sono abituata e in cui sono cresciuta, che contraddistinguono ciò che conosco e a cui continuamente aspirerei e v
orrei incontare.
non è il disinteresse, lo stress, il correre senza fine, il dimenticarsi che attorno “c’è gente” – che pure mi ha indotto a lasciare la città, ciò che intendo per discrezione.
è il sommesso chiedere permesso prima di entrare in casa di altri, il preannunciarsi con una telefonata, diverso dal concetto di infilarsi in casa d’altri, dand
o per scontato che si conoscono tutti, e pertanto i filtri sociali non sono necessari.
ecco che si arriva al topic del post: i rapinatori di coccole.

i rapinati sono i bambini.
le coccole sono la loro età tenera, la pelle soffice, l’essenza della bambinità, l’essere indifesi e non ancora capaci di dire no, lo sq
uarciare l’età adulta con la meraviglia di chi scopre il mondo.
eppure, per i rapinatori di coccole, assai diffusi da queste parti – almeno a quanto vedo, i bambini sono patrimonio collettivo.
roba da prendere e toccare,

per soddisfare la (propria) voglia di bambinità.
parafrasando de andrè, senza chiedersi “se il concupito, ha il cuore libero, oppure ha moglie”.
il bimbo è concupito, desiderato, preso, coccolato,
preteso, senza discrezione o dignità di contenere il proprio desiderio, senza chiedersi prima se è il momento, se il bambino vuole, se ne ha desiderio o volontà.
non si tratta di pedofili, come potrebbe parere, ma di adulti che si “relazionano” con un bimbo non loro, e non figlio.
ma il bambino, tant’è, non è che un oggetto di un desiderio adulto, di coccole, oggetto senza giudizio e senza rifiuto possibile; come si può dire di no sotto una certa età?
a maggiore ragione poi, se il bimbo è di tutti, oggetto pubblico, figlio di amici o conoscenti, parenti di IV o V generazione, semplice filo coloratissimo, struggente e luminoso di un tessuto strettissimo, in cui tutti sanno tutto di tutti.
come se il bambino potesse portare un miracolo nella vita altrui, introducendo qualche variazione o un pò di dolcezza, perduta o non più cercata.
ma in ogni caso lo si fa sempre prendendo e mai chiedendo.
mamma iena, mamma italiana, mamma feroce come una bestia ….
mi spiace ma la minina non è oggetto.
ma soggetto.
in ogni caso tutelata dai suoi adulti.
e la discrezione non è quella distanza dall’altro che permette la conoscenza, lenta e attenta, anzichè la rapina di ciò che ha l’altro e io desidero??
L’aneddoto:
ieri a fare la spesa nel micro-mini market del paese, io e la minina in braccio, mentre parlo con la negoziante entra una signora anziana, salutando la minina e tentando di prenderla in braccio, poi si siede sguaiatamente su una sediolina, appositamente lasciata per i clienti in attesa, e mi dice: “beh, dammela”.
ovviamente lei sa chi siamo io e la minina, ma io non la conosco e in ogni caso … vale quanto detto sopra.
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