PONTITIBETANI

Zone Temporaneamente Autonome


13 commenti

Scarpette di cristallo? Ma anche no.

E’ un post che non piacerà alle amanti dei tacchi.

Ma il dubbio devo insinuarlo.

Questioni da donne.

Questioni di corpo.

Di recente ho lavorato con un gruppo di genitori di adolescenti  ..

che mi hanno aiutato a vedere con maggiore chiarezza il valore delle scarpe da ginnastica che gli adolescenti indossano e chiedono come primo oggetto di autonomia.

Autonomia, comodità, emancipazione, libertà di andare, moda, omologazione, somiglianza, scelta, contrattazione.

Non solo un coacervo di batteri e odori improbabili.

Già scarpe comode sono autonomia, possibilità di camminare, correre e saltare, guidare con comodità, avere una lunga autonomia di camminata senza stanchezza, è potersi flettere, sedere a gambe incrociate, pronti alla sosta o allo scatto.

Certo il mio lavoro richiede anche questo, per lavorare con i bimbi, e i ragazzini, la psicomotricità addirittura vuole i piedi scalzi.

Comodità prima di eleganza. Ma il fatto che io sono così, prima a prescindere.

Il corpo richiede libertà di movimento ed espressione, comodità, possibilità di essere sempre attivo nella vita, nel fare, come non dargli ascolto.

Ogni tanto temo di trovare affacciata, nella mia vita, una coach dell’abbigliamento che vuole scovare – nel mio guardaroba – gli errori/orrori, ed esporli alla gogna.

Guardando con orrore le mie implacabili cadute di charme, di chic, di style, di glamour.

Elegante è tacco a spilli, parla francese ed è scomodo.

E poi perchè le donne si vedono proporre con fastidiosa ridondanza i tacchi?

A me resta la strana idea che la S-comodità femminile nella moda, parli proprio della limitazione dell’autonomia femminile.

Collane che  si impigliano, unghie lunghe che non permettono di toccare e sentire sino in fondo… scarpe che donano passo ondeggiante, e equilibri instabili.

Camicetta e gonne che chiedono contesti molto poco dinamici per aver valore.

E l’imprevisto, il gioco, il movimento, la corsa, persino la fuga non sono previsti, o concessi.
Alle donne.

Questo è il mio dubbio.

Ci sarebbe anche altro, come per esempio le forme di pressione cui vengono sottoposte le modelle, in quanto “corpi”.

Ma si rischia il vetero femminismo.

Ma la domanda resta perchè l’eleganza femminea non deve consentire movimento?


Lascia un commento

Vestiti-per (corpi in scena e professioni)

Lunedì sono transitata per un piccolo tribunale di provincia … con il senno di poi credo che dovrei trasformare il transito in sosta, e l’attivita’ da estemporanea a fissa.

Perche’ il piacere e la curiosita’ dell’osservare l’umanita’ sono impagabili.

Il massimo per me sarebbe l’assunzione nel team del Dr. Leitman (serie tv Lie to me), e pure stapagata, come osservatore della comunicazione non verbale.

Ma bando ai preamboli….

Le avvocatesse, di detto tribunale, rappresentano un gruppo piuttosto omologo (ne avro’ osservate una trentina almeno) di signore mediamente molto (molto) eleganti; anche quelle piu’ sobriamente vestite e non ingioellate hanno un certo “non so che” di overdressed, o overstatement.
L’effetto e’ quello “matrimonio, il gruppo degli invitati ad un matrimonio si riscosce inconfondibilmente, e al di la del gusto individuale; la vista ci svela immediatamente la destinazione del gruppo. Per andare ad un matrimonio si deve indossare un “certo” stile, e con l’abbigliamento si comunica evento, destinazione, e cura, attenzione alla ritualita’ dell’evento.

Ma allora, perché le avvocatesse  si vestono “da matrimonio”? Evidentente la finalita’ della comunicazione non verbale non e’ la stessa, non sono ad una festa, anche se un tribunale è un luogo rituale della celebrazioni di eventi significativi come udienze, processi, guidizi. Certo momenti simbolicamente molto importanti e che  richiederebbero, per natura,  abbigliamento significativo. Ma anche scomodo, apparentemente. Sorgono domande.

Come fanno a trattenersi in piedi su tacchi straordinariamente alti, in abiti davvero poco pratici?
Perche’ molte sembrano aver fatto un bagno nel profumo?

Le chiavi di lettura sono varie: mostrare un potere e disponibilita’ economica (ai clienti, ai colleghi) come testimonianza di una abilita’ pratica che si trasforma in guadagno. “Sono abile” e’ una comunicazione importante sia per i colleghi, che per i clienti, e anche per i giudici.
Ma anche c’e’ il di-mostrare “sono alta” (grazie ai tacchi) e “profumata” (grazie al profumo), atti che veicolano una comunicazione non verbale importante.

Al di la del giudizio e dell’oggettivo/soggettivo fastidio (per il profumo), questo essere molto alta/molto profumata sono due atteggiamenti che permettono di governare o dominare lo spazio e la prossemica con colleghi e clienti.
Altezza puo’ voler dire “guardare negli occhi” e compensare il fatto che spesso gli uomini sono piu’ alti, o guardare “dall’alto in basso” e stabilire asimmetrie di potere. Insomma una sorta di parificazione delle distanze.

Il profumo poi non e’ solo oggetto di seduzione, ma occupa (soprattutto se “prepotente” forte incisivo) uno spazio olfattivo, impone, richiama e indica, dichiara la presenza di una persona e del suo “odore” (profumo) come un marchio territoriale. Puo’ persino imporre una distanza, obbligando altri a stare lontani, con un eccesso di profumo.

Sarebbe curioso capire se c’e’ consapevolezza nell’uso della comunicazione non verbale e corporea, nella sua molteplicita’ di mezzi espressivi, se le variabili dipendono dal territorio (tribunali grandi o piccoli, appartenenza a studi legali affermati o meno, localizzazioni in grandi metropoli o piccole provincie).

Peraltro nell’aula del giudice e dei suoi assistenti regna(va) la dimissione nell’abbigliamento, e un certo sottotono,
anche umorale… Che creava una asimmetria davvero curiosa. (n.b giudice ed assistenti erano comunque donne).


4 commenti

Vestìti per …

Due diverse visioni, di questi giorni:
Spider di Cronenberg e The good wife.
Ne estraggo due frammenti.

Il protagonista scizofrenico del primo, e’ vestito con numerose camicie sovrapposte. Abita in una sorta di comunita’ protetta, per pazienti usciti dall’ospedale psichiatrico; che viene gestita da una ruvida ed asciutta signora. Quando questa, accortasi dell’abbigliamento inconsueto dell’uomo, lo interpella, riceve la risposta da un altro ospite. Che spiega che Gli abiti fanno l’uomo, e meno c’è l’uomo, più cresce il bisogno dell’abito.

The good wife e’ la moglie di un procuratore, trascinato in uno scandalo sessuale e mandato in prigione con l’accusa di corruzione (o simile) relativa al suo lavoro. La moglie si trova costretta a tornare alla sua precedente carriera di avvocato, e a gestire una vita improvvisamente interrotta dallo scandalo e dai tradimenti ripetuti del marito.

Mentre interroga una donna accusata, ingiustamente, dell’omicidio del suo ex marito, la sollecita a truccarsi e vestirsi ed avere cura di se. Perche’ e’ importante.

C’e’ un gioco di rispecchiamenti tra le due donne ugualmente ferite dalla vita.

L’imputata chiede alla avvocato se questo poi la fara’ stare/sentire meglio, ma la risposta e’ sempre rivida ed asciutta, curarsi non la fara’ stare meglio, ma si vedra’ meno…. (fatica, sofferenza, dolore).

Una altra forma di corazzamento e protezione dal vuoto o dal freddo interiori, e che protegge anche dal mondo esterno.