Mi piace Vieni via con me.
Non ci posso o voglio fare nulla.
Mi piace il format, Saviano, Fazio, il parlare delle mafie, le liste ,gli elenchi, la scena, la grafica…
Insomma mi piace.
Mi ossigena la mente non veder gente che si accapiglia, insulta e offende.
Mi rilassa sapere che ogni tanto i sassi nelle scarpe escono, e il piede prende sollievo. In realtà è proprio lo stivale intero che si sente leggero (10.000.000 di persone a vedere il programma), fuorisciti i sassi.
Poi infuria la polemica perché cani e porci devono andare a ribattere proprio lì. Che ci si chiede pure che spirale si pouò innescare a furia di ribattere, e riffermare un principio diverso da quello espresso.
O dicotomia o niente.
Solo bianco e nero.
Se io dico una cosa subito qualcuno deve rivendicare che esiste il suo opposto. Che sennò che ne dimentichiamo ….
Però mi ha irritato il critico Grasso che così descrive il programma ..
«Vieni via con me» non è un format, è un calco. Di una cerimonia religiosa, di una messa, di una funzione liturgica. La proposta degli elenchi, di ogni tipo, su ogni argomento, assomiglia molto alle litanie: più che alla vertigine della lista, lo spettatore cede volentieri al fascino della supplica accorata, alla devozione popolare, alla lamentazione come unica fonte di speranza e di conforto, al mantra. Volete una prova? A ogni voce degli elenchi provate ad aggiungere un ora pro nobis. L’officiante è facile individuarlo: ne ha tutti i modi, i comportamenti, spesso le affettazioni; è Fabio Fazio. Che ha una capacità straordinaria, tipica di alcuni celebranti: quella di trasferire sui suoi numerosi fedeli quell’aura di senso di colpa che gli trasfigura il volto. La doglianza gli dà potere, mostrarsi vulnerabile (i ricchi contratti non gli impediscono di piangere sempre miseria) è la sua garanzia di invincibilità, tra un Alleluia e una Via Crucis.
Ma come scrivevo stamattina su facebook ….
Anche io mi annovero tra coloro che si son infastiditi leggere Grasso e il suo definire di un format, tutto sommato nuovo, per la televisione non tanto in modo critico (che da un critico ci starebbe pure) ma bizzarro.
A me ciò che Grasso ha trasmesso, con il suo articolo, è un lasciare sullo sfondo i temi scelti (e mi pare grave), e il fatto che nessuno li avesse mai declinati così, in televisione.
A me pare uno stile da rete, da network, che quando funziona … ripulisce di quel pattume in-ascolatabile e impossibile a guardarsi fatto di liti urlate, di prese di posizione poco argomentate e di offese gratuite che la tv ci elargisce giorno per giorno.
In rete bisogna saper declinare, argomentare, essere chiari, nitidi e diretti. Cosa che ho colto della trasmissione, e che apprezzo laddove accade.
Altra questione che non proprio ho compreso nella critica di Grasso è quella della liturgia e in ogni caso più che una critica mi suona una via di mezzo tra una presa in giro, una abbozzata ironia e un franco fastidio.
Che si perde nel non declinarci bene come lui da critico veda il format nuovo, peraltro ci dice che è una novità ma poi spiega che è come la Messa, con i suoi dolenti, i Cristi sanguinanti, i suoi ora pro-nobis (roba vecchia di 2000 anni almeno).
Nel frattempo non ci dice se è innovativo svelarci che la mafia si fotte la nostra salute, il nostro futuro, i nostri soldi.
Dove nasce e dove ci può portare un nuovo format, un calco, un diverso modo di dire le cose, di comunicare, fare spettacolo.
A me sembra che sia una trasmissione in stile web 2.0, in parte anche raccontata (in parte è ovvio) dal basso. Cosa che ben sa chi usa la rete.
E se la televisione impara(sse) a mutuare stili dal web si rende(rebbe) sicuramente innovativa e più dialogica.
Infine è interessante che tutti, chiedendo di partecipare, (per replicare/pur di replicare) ammettano indirettamente di voler stare sul “quella” scena tv mentre avviene una novità e quando 10.000.000 di italiani stanno incollati a vederla svolgere …
Innovativo il format o i contenuti?