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CoSe da FaRE …

Un post di Orma, apre le danze a qualcosa che era lì sulla punta delle dita, alla soglia del dicibile, ancora un pò impigliata nel cuore o nel cervello.

Lei dice delle differenze dell’allevare le sue bimbe, così mi è venuto da pensare alla Minina. Della grande ho detto anche altrove e pure della piccolina. Ma è certo che le allevo diversamente.

Ma con lei continuo ad avere dell’irrisolto che non riesco a digerire.

E’ una robetta minuscola, Minina appunto, vivacissima e dolce, generosa e coccolona, affettuosa e determinata, capricciosa e coraggiosa, sveglia e intraprendente, veloce e pronta. Mi piace, mi piace da pazzi, anche quel suo caratteraccio fatto di improvvisi bizze e capricci.

Ecco di fronte ai quali mi sento impreparata, sono pronta alla sua forza, alla temerarietà, alla determinazione ostinata e cocciuta ad avere esattamente quello che vuole e non altro. Le bizze così irritate, la rabbia, la frustrazione urlata me la mostrano anche molto piccola, fragile, in difficoltà davanti alla sua rabbia che sale.

Ogni strategia dissuasiva fallisce rapidamente. E’ una guerriera mignon. Lotta.

Suo padre mi dice che è piccola tanto piccola, come a dire che (le) passerà, imparerà a governare le emozioni, ad aspettare mediare e modulare.

Ma a me passerà il timore di essere troppo alleata della sua forza, di essere più forte accanto a lei, meno morbida e lenta di quanto non fossi con la grande. Così mentre lo scrivo capisco che sono di quella pasta di mamme (sarà una categoria?) che si muovono in armonia con i figli, i primi anni di vita. Forse.

Sono inquieta. Cos’è ciò con cui non faccio pace?

Una gravidanza faticosa perchè il peso degli impegni e dei cambiamenti premeva più dei tempi della pancia, una nuova attività del compagno, la nuova scuola della figlia grande, le preoccupazioni del futuro, il timore che l’età (la mia – over quaranta) portasse danni a quel minuscolo essere che avevo in pancia. Non è stato un anno tranquillo, no. Non quella cuccia calda che mi ero costruita con la grande, la casa vissuta come nido, come attesa e pacatezza. Fuori c’era un mondo ad urlarmi di uscire, ad impormelo, incitandomi ai suoi ritmi. Io volevo fermarmi e non potevo. Non ne ero nemmeno capace.

L’ho fatto … ho seguito ritmi altrui, e poi ho fatto anche molto più di questo, ho finito il mio corso di consulente dando esami qualche gg prima del parto e un mese dopo. Brava eh!! Brava?

Il post partum è stata una risalita disperata, lunga, pesante, strascicata, in corpo senza forza in mezzo a richieste di partecipazione che non cessavano, richieste ambivalenti insieme alla sollecitazione a fare la mamma, a prendere i tempi della Minina, della mia ripresa fisica.

Ho avuto una lunga paura di non farcela.

Non ho perdonato la villocentesi che ha invaso me, il mio corpo e lo spazio della piccola, con una diagnosi  prenatale ed inutile che mi ha reso paurosa per mesi e mesi, anche dopo la nascita. Si è andato tutto bene, ma avevo paura. Poca poca ce l’ho ancora, non passa mi sta attaccata alla schiena, e fa sentire un freddo viscido, non governato dalla ragione.

La Minina quando le faccio il bagnetto si tocca il pancino e fa “piiiiiiiii”, con quella vocina piccola e sottile, gli occhi tondi e un mare di riccioli ribelli. E mi ricorda l’invasione alla mia pancia e al suo spazio vitale, alla nostra nascita di mamma e figlia costruita nella fatica.

E’ la mia piccola guerriera, tenerissima; sto cercando di raccontare a lei e a me cos’è successo. Forse lei non capirà e nemmeno io, ma è un racconto di consolazione, di tenerezza ed affetto, basta la voce. E’ fatto a voce bassa, velata di emozione, e del mio desiderio di proteggerla da quel che è successo, è fatto di intimità, di ricerca e di cura di quelle parti deboli che sono state rese forti a forza.

Spero sia arrivato il nostro momento della delicatezza. Io ne ho bisogno. Forse anche lei.