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elogio della bellezza

(scritto e pubblicato per donne pensanti)

alle volte un dubbio mi si insinua.

alle volte ricordo ciò che mi ha allonatanato dal femminismo.

alle volte temo gli attacchi verso le altre donne. (ecco l’unica che se sento attaccare è la gelmini, mi va bene così, si attacca la sua velleità di un legiferare incapace che sta distruggendo la scuola e questo mi spaventa per il nostro futuro collettivo).

un paese senza scuola è un paese morto, senza memoria, passato, presente e futuro.

ma ecco il mio elogio del bello.

io non credo di essere una donna bella, o meglio “figa”, non una di quelle che fanno girare la testa per strada, nemmeno una di quelle che esibisce la femminilità attraverso trucco&parrucco.

sono, credo piacevole, ho imparato ad esserlo piacendomi.

non mi è chiaro come anche così sono piaciuta ad alcuni uomini, che poi sono stati i miei fidanzati e/o compagni.

non ho disdegnato di essere “oggetto” di attenzioni maschili, o “soggetto” attento ai maschi che gironzolavano …

quando ero giovane.

sono attratta dalla bellezza dei corpi, dalla loro espressività, dal fascino, dalla cura, dalla differenza che c’è tra gli uni e gli altri.

come tutti, credo.

peraltro vedo la bellezza anche dove altri non la vedono.

come tutti, immagino.

il mio lavoro mi ha aiutato, a cercare bellezza dove c’è (anche nella disabilità, certo)

il fatto di amare le immagini e la fotografia è stata una molla potente.

sono cresciuta in mezzo a fotografie e libri di fotografia.

insomma lo sguardo è un motore potente, la vista lo è, la bellezza pure.

la dinamica dei sessi si basa anche sulla vista, sulla bellezza, e alle volte sull’armonia dei corpi.

alle volte temo che alcuni discorsi mettano alla gogna il desiderio di piacere, un piacere che sentono le donne, e di piacere agli uomini.

antropologicamente, e fisiologicamente è un dato necessario ad ogni cultura, all’incontro e alla procreazione, all’amore, al desiderio.

è una necessità che si veste di colori, tacchi e trucchi, di pettinature, tatuaggi, treccine, piume collane, artifici più o meno piacevoli (talvolta), che abbisognano anche culturalmente del giudizio altrui.

il giudizio implica anche la scelta.

non tutto ciò che critichiamo è sudditanza agli uomini.

il rischio del vecchio femminismo era quello di una battaglia contro gli uomini. e contro le donne che non si omologavano.

io voglio dialogare con la signora velina, incontrarla, capire insieme a lei una scelta diversa.

io voglio capire se la donna con il chador è schiava o una musulmana praticante.

io, di necessità, voglio stare nella ambivalenza del vivere, che tenta si metter insieme opposti inconciliabili.non per farli andare in sintonia, omologarli ma per legittimarli come pari …

e poi da li, da quell’incontro – anche critico – crescer in una cultura più complessa, attenta, “pensante”, portatrice di valori e disvalori, di valori nascosti da scoprire, da cercare  anche nel letame (purtroppo) … o di falsi valori mascherati da buone ragioni che vanno eliminati.

è un lavoraccio. ma va fatto.

lo so che è un pensiero ancora incompleto, non perfettamente definito, anche nella forma, forse privo di alcuni nessi … ma temo che giudicare troppo severamente chi usa la bellezza possa ritorcersi contro a noi stessi …


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educazione, città e primavera (ovvero un titolo a casaccio)

ma nemmeno troppo, a cercarlo (Il nesso) c’è, però!

oggi si era nella big city e l’aria era tiepida e profumata; i milanesi sapranno ben riconoscere la sensazione evocata da un odore estraneo, l’aria più fresca e frizzante, che si insinua e impone al presistente non odore (ci si abitua) di puzza costante e stabile, che sempre anestetizza un pò.

ma la primavera ogni volta stupisce ed s’improvvisa – creativamente – come sorprendere i milanesi stanziali o esuli, come me; basta un refolo di vento, un viale alberato trasformato in nuvole rosee di petali, sparsi e distribuiti sull’asfalto dal vento, un passo più leggero, un vibrare nel cuore.

l’educazione era il motivo per cui stavo a godermi quell’acconto di primavera nella big city, a ragionare dei nessi tra la rete e la pedagogia (yes, it is), e tra il mondo che cambia e gli oggetti della pedagogia … (ohhhh si se ne parlerà anche qui, fra qualche giorno).

detto ciò la primavera rappacifica molte cose, fatiche, ansie concrete, tensioni fisiche e non … che l’eracliteo panta rei aiuta a relativizzare, spesso, e a vivere un pò meglio…

tutto scorre.

intanto per le amanti del web e nuove allo strumento come me un link prezioso

http://gandalf.it/ info, riflessioni e materiali scaricabili…


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lavori altrui – in corso

il mio compagno lavora nel commercio.

e cioè anche io, quando non casalingheggio, mammeggio, stirello, consulenzo, psicomotricisticizzo, bloggereggio…

come credo di aver scritto una miriade di post fa, siamo a quota 537, è un mondo quello della clientela di un negozio che rappresenta un osservatorio bizzarro di umanità e bisogni.

ma anche chi lavora rappresenta una ben strana altra forma di umanità, spesso asservita ai bisogni e bizzarrie del cliente, per ora ho capito che:

1. non si beve, o ci si nasconde per farlo. non sta bene, non è bello non si fa.

2. mangiare???? farlo in pubblico è anche peggio: ho visto i ragazzi del bar, a fianco, ingozzarsi con un boccone per correre a farci un caffè (e si che ci conoscono da un paio di anni). insomma il cliente non deve veder o sapere che anche quell’essere lì si nutre.

3. il bagno. non si può chiudere un negozio per assolvere ai bisogni fisiologici …

4. orari di chiusura. è una astrazione. il negoziante non ha una vita propria. mai.

ora ammetto che la linea di confine è sottile, tra diritti e professionalità, tra un lavoro “di servizio” e la necessità di vivere in modo sano il luogo di lavoro, anche quando se si è proprietario/referente unico.

sconfinare troppo nell’uno o nell’altro versante è complicato e inadatto, anche perchè la famigerata clientela è sempre più abituata alla prestazione da grande distribuzione: tanto, tutto, subito, sempre e comunque. quindi sembrano non esserci vie di scampo per il negoziante che già non mangia e non beve …. domanda: è una prospettiva sana???

intanto per la cronaca la gdo sta uccidendo il centro della semicittà dove lavora quel pover’uomo (nonchè mio compagno di vita), i negozi chiudono come se piovesse, e non è solo la crisi in atto ma la stozzatura dei piccoli ad opera del grande.

chi tiene dietro al ritmo di apertura dei grandi centri commerciali? mentre gli amministratori comunali continuano ad autorizzare aperture di altri centri commerciali.

l’altra domandina sul senso delle vita (è una domandina carogna) è ma una volta che i centri storici saranno senza negozi cosa ne sarà delle città … ????