Lungi da me l’idea di dettare modi o mode, di mettere alla gogna usi e costumi però se voglio pensare alla questione già citata al punto 1:5 e 2:5 devo allargare il campo di riflessione.
Se ho bisogno di pensarmi come una persona che non è indifesa ma in – difesa devo anche passare per esempio da una cosuccia da niente come l’abbigliamento, che a mio avviso non solo veicola una serie di messaggi sul nostro status sociale, emotivo, culturale, indentitario ma anche la nostra affinità con il nostro muoverci, la nostra confidenza o meno, la distanza o vicinanza che sentiamo con il nostro corpo.
Vale a dire che l’abbigliamento ci permette o meno di muoverci, e faccio un esempio che può essere più o meno banale il mio compagno che da anni pratica arti marziali ogni volta che sceglie un capo di abbigliamento presta attenzione a come riesce a muovercisi dentro, e lo valuta come se dovesse fare un combattimento …. con quel paio di jeans o quel giubbotto. Ma spesso anche io, vuoi per motivi personali che professionali, presto attenzione che un certo capo di abbigliamento mi permetta una grande libertà di movimento. Se mi devo seder per terra con un bambino, se devo giocare a palla con un ragazzino o un disabile, se devo cambiare una gomma, se devo correre dietro alla figlia piccola in fuga in mezzo alla strada … se …
Partendo da questa prospettiva e non da una ottica di critica assoluta all’abbigliamento femminile, vorrei poter dir che una serie di capi di abbigliamento tendono a renedere la donna poco mobile, una icone della bellezza, del fascino o della femminilità ma astratta dalla quotidianità.
Direi che le passerelle della moda illustrano bene questa definizione ..
Non si tratta di dire che questa moda non è bella o non va bene. In certi casi è bella.
E’ artisticamente necessaria, ci indica colori, suggestioni e modelli, evoca femminilità …
Ma si adatta, per esempio a cambiare una gomma accucciate su una statale trafficata, o a sfuggire ad un energumeno che importuna, o se ci fa sentire pronte a muoverci in una riunione in ufficio in cui qualcuno ci aggredisce verbalmente, ci fa sentire libere o vincolate? Non solo fisicamente ma anche mentalmente?
Cioè mi chiedo se permette di sentirci in – difesa. In grado di attivare operativamente tutti imeccensimi di difesa, di autotulela, di autoprotezione di cui siamo in possesso.
Chiediamoci se tacchi a spillo o zeppe, collane, collanine, braccialetti, camicini di seta, borsette minimaliste sono oggetti che ci consentono con praticità di vivere una giornata intensa, attiva, sentirci anche femminili ma senza perdere di vista la logica dell’autotutela.
Di sentirci protagoniste in prima persona di un processo di difesa, senza bisogno di intermediazioni. Non donne indifese ma donne in – difesa.
Qui si apre un secondo capitolo.
Non credo che il mondo sia pericoloso in assoluto, ne privo di difficoltà in assoluto. Rispetto a 100 anni fa abbiamo alcune sicurezze in più (uomini e donne) e altre in meno, abbiamo eliminato il rischio delle epidemie di peste bubbonica e aggiunto quello della crisi ecologica, abbiamo eliminate alcune malattie mentre ci ammaliamo di più per altre malattie, abbiama più sicurezze e nuove insicurezze. E dobbiamo, come da sempre convivere tra due polarità, la ricerca di sicurezze e alcuni elementi di insicurezza. Fingere che non esitano sembrerebbe assurdo.
Anche noi donne, mi pare, siamo chiamate in causa chiedendoci, prima ancora che della violenza come possiamo difenderci dalle insicurezze.
Chiedendo leggi di maggior tutela? Imponendo che i rischi vengano esclusi? Aumentando ogni forma di presidio alla sicurezza?
Si. E poi? Avremo un mondo perfetto e sicuro? Oppure rischieremo ancora di essere tamponate per strada, di esser malmenate da uno scippatore, di subire violenza, di vivere situazioni di percolo? Oppure costruendo la consapevolezza che ci sono reali situazioni di rischio, come ci sono sempre state, per l’umanità intera da millenni, costruendo presidi di tutela, e cercando di essere consapevoli ogni giorno di ciò che ci gira attorno? Senza sperare o aspettare che ci sia un principe azzurro in arrivo sul cavallo bianco, mentre aggiusto una gomma di notte e in centro a Milano, o in una periferia degradata a Lisbona, o a Parigi …
Basterà cambiare abbigliamento per uscirne salve? Non credo. Basterà chiederci perchè una donna va in giro sui tacchi a spillo e un uomo no? basterà rinunciare alla borsa e alle collanine? Bisognerà rinunciare alla femminilità? Non credo.
E’ una risorsa cui non voglio rinunciare, ma voglio pensare anche al perchè un certo abbigliamento non è poi così pratico, a chi serve, a cosa mi serve, cosa mi permette e cosa no.
Tanto per cominciare a pensarmi meno fragile, meno oggetto, meno vittima, meno fruibile, più consapevole, più attenta, più sveglia e più pronta.
…