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Furie o Erinni, Parche o Moire, Gorgoni, Ananke (Brillanti e Tacchi a spillo) Violenza sulle donne 3:5

Lungi da me l’idea di dettare modi o mode, di mettere alla gogna usi e costumi però se voglio pensare alla questione già citata al punto 1:5 e 2:5 devo allargare il campo di riflessione.

Se ho bisogno di pensarmi come una persona che non è indifesa ma indifesa devo anche passare per esempio da una cosuccia da niente come l’abbigliamento, che a mio avviso non solo veicola una serie di messaggi sul nostro status sociale, emotivo, culturale, indentitario ma anche la nostra affinità con il nostro muoverci, la nostra confidenza o meno,  la distanza o vicinanza che sentiamo con il nostro corpo.

Vale a dire che l’abbigliamento ci permette o meno di muoverci, e faccio un esempio che può essere più o meno banale il mio compagno che da anni pratica arti marziali ogni volta che sceglie un capo di abbigliamento presta attenzione a come riesce a muovercisi dentro, e lo valuta come se dovesse fare un combattimento  …. con quel paio di jeans o quel giubbotto. Ma spesso anche io, vuoi per motivi personali che professionali, presto attenzione che un certo capo di abbigliamento mi permetta una grande libertà di movimento. Se mi devo seder per terra con un bambino, se devo giocare a palla con un ragazzino o un disabile, se devo cambiare una gomma, se devo correre dietro alla figlia piccola in fuga in mezzo alla strada … se …

Partendo da questa prospettiva e non da una ottica di critica assoluta all’abbigliamento femminile, vorrei poter dir che una serie di capi di abbigliamento tendono a renedere la donna poco mobile, una icone della bellezza, del fascino o della femminilità ma astratta dalla quotidianità.

Direi che le passerelle della moda illustrano bene questa definizione ..

Gianfranco Ferré, Sfilate - PE 2009 Collezioni  - Style.it Christian Dior, Sfilate - PE 2009 Collezioni  - Style.it Dolce & Gabbana, Sfilate - PE 2009 Collezioni  - Style.it

Non si tratta di dire che questa moda non è bella o non va bene. In certi casi è bella.

E’ artisticamente necessaria,  ci indica colori, suggestioni e modelli, evoca femminilità …

Ma si adatta, per esempio a cambiare una gomma accucciate su una statale trafficata, o a sfuggire ad un energumeno che importuna, o se ci fa sentire pronte a muoverci in una riunione in ufficio in cui qualcuno ci aggredisce verbalmente, ci fa sentire libere o vincolate? Non solo fisicamente ma anche mentalmente?

Cioè mi chiedo se permette di sentirci in – difesa. In grado di attivare operativamente tutti imeccensimi di difesa, di autotulela, di autoprotezione di cui siamo in possesso.

Chiediamoci se tacchi a spillo o zeppe, collane, collanine, braccialetti, camicini di seta, borsette minimaliste sono oggetti che ci consentono con praticità di vivere una giornata intensa, attiva, sentirci anche femminili ma senza perdere di vista la logica dell’autotutela.

Di sentirci protagoniste in prima persona di un processo di difesa, senza bisogno di intermediazioni. Non donne indifese ma donne in – difesa.

Qui si apre un secondo capitolo.

Non credo che il mondo sia pericoloso in assoluto, ne privo di difficoltà in assoluto. Rispetto a 100 anni fa abbiamo alcune sicurezze in più (uomini e donne) e altre in meno, abbiamo eliminato il rischio delle epidemie di peste bubbonica e aggiunto quello della crisi ecologica, abbiamo eliminate alcune  malattie mentre ci ammaliamo di più per altre malattie, abbiama più sicurezze e nuove insicurezze. E dobbiamo, come da sempre convivere tra due polarità, la ricerca di sicurezze e alcuni elementi di insicurezza. Fingere che non esitano sembrerebbe assurdo.

Anche noi donne, mi pare, siamo chiamate in causa chiedendoci, prima ancora che della violenza come possiamo difenderci dalle insicurezze.

Chiedendo leggi di maggior tutela? Imponendo che i rischi vengano esclusi? Aumentando ogni forma di presidio alla sicurezza?

Si. E poi? Avremo un mondo perfetto e sicuro? Oppure rischieremo ancora di essere tamponate per strada, di esser malmenate da uno scippatore, di subire violenza, di vivere situazioni di percolo? Oppure costruendo la consapevolezza che ci sono reali situazioni di rischio, come ci sono sempre state, per l’umanità intera da millenni, costruendo presidi di tutela, e cercando di essere consapevoli ogni giorno di ciò che ci gira attorno? Senza sperare o aspettare che ci sia un principe azzurro in arrivo sul cavallo bianco, mentre aggiusto una gomma di notte e in centro a Milano, o in una periferia degradata a Lisbona, o a Parigi …

Basterà cambiare abbigliamento per uscirne salve? Non credo. Basterà chiederci perchè una donna va in giro sui tacchi a spillo e un uomo no? basterà rinunciare alla borsa e alle collanine? Bisognerà rinunciare alla femminilità? Non credo.

E’ una risorsa cui non voglio rinunciare, ma voglio pensare anche al perchè un certo abbigliamento non è poi così pratico, a chi serve, a cosa mi serve, cosa mi permette e cosa no.

Tanto per cominciare a pensarmi meno fragile, meno oggetto, meno vittima, meno fruibile, più consapevole, più attenta, più sveglia e più pronta.


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Furie o Erinni, Parche o Moire, Gorgoni, Ananke (Piccole premesse concettuali) Violenza sulle donne 2:5

Questa riflessione scaturisce dalla lettura di un post ospitato da Donne Pensanti, il progetto di Panzallaria e non solo, che prova ad aprire spazi di pensiero sulle donne pensanti e non solo donne, di cui vi consiglio di prendere visione se interessate/i.

L’aver letto e scritto sul tema della violenza e nello specifico della violenza domestica, mi aveva lasciate aperte alcune porte di riflessione che sono rimaste a giacere latenti, in qualche angolo della testa.

Finchè in qualche modo si sono riconcretizzate, trovando nuovi collegamenti che potevano permettermi di andare avanti. Ma poichè non vorrei che il tutto si trasformasse in un pensiero autonomo e solipsistico sto cercando di dare al post un maggiore respiro di tempo e concettualizzazione, e spero che arrivino osservazioni, scambi di link, confutazioni, aperture e spunti da renderlo in qualche modo più adulto e complesso, trasformato e fruibile.


1. Prima di arrivare al nucleo della questione violenza passo dal altre cose; la prima è nostro background collettivo di narrazioni sulle figure femminili …  cioè parlo delle storie e le fiabe che narriamo ai nostri bimbi, e che ci indicano i modelli collettivi dell’essere donne e uomini. Altrove si potrebbero definire gli archetipi. Il genere femminile è rappresentato da eroine spesso passive, o se sono attive lo sono essendo buonissime e aiutate sempre da oggetti magici che ne compensino la fragilità femminea.

Una digressione mammesca sulle eroine dei cartoni animati walt disney …
c’è voluta Mulan per disancorare finalmente una figura di donna coraggiosa, impetuosa,
testarda, che sfida le convenzioni sulle solite eroine, e sulle donne.
Finalmente quando uscì al cinema, pensai, che pure nei limiti disneyani
potevo mostrare alla figlia più grande una donna molto più simile a me
e alle mie coetanee, di quanto non fossero biancaneve o la bella addormentata nel bosco.

2. Le figure mitologiche/epiche che stanno alla base del nostro pensiero arrivano dalla nostra cultura romana e quindi di fatto dall’antica grecia; insomma il nostro bacino di figure femminili base arriva dal pantheon greco, e direttamente giù dall’olimpo.

Mi sembra che abbiamo trattenuto, di quel pantheon molteplice, fatto di innumerevoli figure femminili molto interessanti e significative, soprattutto quelle connotate dall’essere perdenti o vittime, anche quando sono carnefici. Una per tutte: la bellissima e spaventosa figura di Medea, carnefice dei propri figli, spesso citata per spiegare o giustificare, o accusare le “cattive madri” … o Circe la seduttrice sedotta ed abbandonata. O Cassandra veggente e sempre inascoltata.

Insomma ci siamo trovati a privilegiare solo alcuni modelli. O a riceverli acriticamente. Insomma donne che sono più vittime, fragili, oggetto di passioni, o violenze, poco padrone del proprio destino.

C’è un libro interessante di Jean Bolen Le dee dentro la donna che parla proprio di dee/figure femminili come suddivise in due grande categorie, quelle violate dagli uomini e quelle non violate. Insomma l’essere violate diventa una delle due grandi categorie possibili per il femminile, quelle che ci dividono in vittime o non vittime.

3. Mi sembra importante anche cominciare a capire se è possibile non esser vittime, prima ancora della sicurezza delle strade, dei decreti di urgenza, di provvedimenti che tutelino diritti, opportunità, ancora prima che “qualcuno” faccia “qualcosa” per difenderci. Iniziando da noi e dal significato dell’essere vittime e ancor prima indifese.

4. Donna indifesa o IN difesa? Siamo davvero indifese? Possiamo imparare a difenderci?  E, al di là di ogni corso che ci insegna difesa personale, possiamo cominciare a pensarci non come donne indifese ma che si vivono nella dimensione dell’essere in-difesa, cioè pronte alla difesa e pronte a non cedere al ruolo di vittime, con legittimità e dignità?

Non cedo che solo questo possa fermare la violenza di genere in se, e non nell’immediato.

Ma mi chiedo se questo sia uno dei primi di paradigmi da smontare quello di:

vivere non nella paura della violenza,

vivere senza credere di vivere nel mondo di cenerentola,

vivere consapevoli che esistono i rischi ed essere pronte alla autotutela senza aspettare che arrivi l’uomo azzurro sul cavallo bianco a svegliarci con un bacio da un incubo reale …


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The Big City: seduzioni

Milano, Italia: cupula de la galeriaOggi sono nella Big City, a finire un lavoro a casa di una amica che è anche una collega.

E’ la stessa zona dove abitavo io.

1995. Stesso quartiere. Stessa sensazione di casa.

Un quartiere nella città, che è in realtà ancora un paese, fatto di ritmi e conoscenze. Il panettiere di fiducia,  il mercato del sabato sottocasa, con le sue enormi mozzarelle affumicate e olive verdi, altrettanto grandi, dolcissime, cotte sotto sale.

Una via che è ancora densa di vetrine, giochi di vedere ed esser visti, tra gli occhi appuntiti di due vecchi sarti, un parrucchiere anni 70 in total look arancione, un fantasmagorico “ricerche bibliografiche (ma si fanno ancora nell’era di internet?) e uno sparuto e solingo kebab.

Mi attraggono e incantano tre barattoli polverosi, da farmacia uno conteneva “chlorin….”, se ne stanno lì per terra in un laboratorio falegnameria/restauro/antiquariato. Un luogo colloso e polveroso di legni. M’attardo ancora due tre secondi, a furia di vedere sono vista, devo avere la faccia piena di meraviglia. Uno dei due vecchietti mi guarda e sorride, accenna un saluto.

Sono allegra e leggera. Questa città grigia è piena di vita spicciola, quotidiana, percorsa a passo d’uomo. Negozi antichi di una città che non muore, vitale, come disegnata, appena a due passi dalla tangenziale.

Ci sono i miei ricordi. E’ la mia città, ancora e tutt’oggi.