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la mariastella e la maternità

«È un processo di trasformazione fisica e di autoanalisi, di riscoperta di se stesse e di scoperta di una vita che resterà per sempre, visceralmente, legata a noi» dice la dottoressa Piloni. Non abbiate fretta di lasciare il lavoro. Ma nemmeno di ritornarvi. «Libertà non è aderire al modello maschile». Gravida, ergo sum. Gaia Piccardi

Comincio dalla fine di questo articolo del Corriere

E … UNO

A me, la maria star fa anche tenerezza, e lo dico sul serio, in quella volontà di potenza che deriva dal non sapere quasi nulla di una vita che verrà. Del pensare che la carriera viene prima anche di se stesse, del tempo per sapere chi si è e chi si diventerà. La maria star sembra una donna grande, adulta, consapevole e con quel suo particolare cipiglio, quella serverità che ben si attaglia ad un ministro dell’istruzione.

E DUE …

Nessuna mistica della maternità, ma è una questione che ti cambia la vita, non è meglio o peggio. Ma cambia. Ed hai un figlio in pancia per 9 mesi, nella tua pancia. Ci sono paure e rischi. C’è la responsabilità verso un altro, che se (IO) dovessi fare tenere le mie figlie solo da altri – perchè devo subito tornare a lavorare – non farei figli.

Se non stessi con loro, se non mi preoccupassi di farle crescere ed andare, se non potessi coccolarmele o incazzarmi perchè fanno danni, se non potessi aver bisogno di un pò di ossigeno per me … insomma se non mi vivessi la maternità per ciò che è …

Mica sono uno status symbol, i figli dico, come lo è una borsa di prada. Qualcosa da “avere”.

Si fanno perchè c’è qualcosa da lasciare, da passare, di sè e della propria vita, qualcosa che ci trascende. Mica perchè lo dico io, ma perchè il DNA ha leggi più forti e ineludibili anche del Ministro della Pubblica Istruzione o quel che è ….

E TRE

Sarà che quel pochissimo di zen che ho dentro dice che il bersaglio è dentro di noi e non fuori; e la carriera perde il suo senso se non ci permette di realizzarci come interezza, così come avviene parallelamente per la maternità, quando e se rinuncio a me stessa per essere madre …. Se il mio bersaglio diventa fare carriera, essere la ministra irreprensibile che non perde un colpo, e mostrare a tutto e tutti che sono la più brava a varare leggi mentre partorisco. Spingo e voto, voto e spingo.

E QUATTRO

Ma come funziona ‘sta cosa? Mi sembra che manchi un salto concettuale, uno che presidia e legifera sulla formazione, istruzione, educazione di una intera nazione è il primo che rinuncia a fare proprio quello che si propone di far fare agli altri.

Invece di fare tanto la superdonna, che a-noi-mamme-se permette-un pò-più-scafate, puzza già sin dall’inizio, perchè la mariastar non si mette a pensare al suo problema di come sono gli asili per il suo e i nostri bimbi, e le scuole e via dicendo, perchè non pensa che proprio perchè immersa nel flusso della (propria) maternità potrà capire qualcosa di nuovo e diverso sull’educare e insegnare.

Perchè non pensa che se si, acc, avrà bisogno purtroppo della baby sitter sarà meglio che sappia lavorare o che abbia un buon inquadramento formativo, o che vorrebbe tanto un asilo nido “Aziendale” nelle bouvette, per potre fare il suo lavoro sapendo che può anche correre dal suo cucciolo per la pappa…

Non grazie maria star dal tuo fare la super donna non impariamo nulla, dalla tua fatica molto di più soprattutto se poi diventa leggi buona per le madri e le famiglie, che contemplino la convivenza per tutti tra lavoro e affetti e bebè. Proprio grazie al doppio ruolo di donna gravida e parlamentare hai  la possibilità di imparare e pensare cose più adeguate. Sarebbe un peccato non sfruttare proprio questa chance che ci permette la maternità.

Imparare,

insegnare,

imparare ad imparare,

imparare ad insegnare,

insegnare ad imparare.

Ecco l’ho detto. Male che le vada ci sono sempre le mamme blogger che scafate lo sono ... (it mom promette aiuto e noi pure!!!)


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fuori moda: esser migliori

che non è essere i migliori di …

che non è la pulsione a fagogitare gli alti, surclassarli, superarli, sbatterli al tappeto, o giù dal barcone, che non è dirsi e/o credere davvero di saper fare qualcosa meglio di tutti …

è una lotta quotidiana a superare quei c**** di difettacci che ci portiamo addosso, disciplinando caratteri ed umori.

e farlo non per gli altri.

facendolo semplicemente per noi stessi, dopo avere smesso di guardare se gli altri ci guardano, ammirano, o si interessano alle nostre azioni.

e come diceva herrigel nello zen e il tiro con l’arco, lo cito con una certa approssimazione scusatemi, alla fine scopro che il bersaglio sono io, il bersaglio è interiore …

questo fa si che il gesto, le piccole cose prendano significato, una per una minuto per minuto .. non vi ricorda ricorda un pò anche il vecchio e buon eraclito …?

mi chiedo solo perchè gli italiani preferisceno una proiezione insicura di se all’esterno, perchè sia meglio farsi dire come si è bravi, anzichè cercarla e sedimentarla.

lo sforzo è analogo, il risultato no. il primo espone ad una ricerca continua e spasmodica di applausi, di consensi, di strategie e marachelle per non sentirsi troppo finiti o inutili.

nel secondo caso il problema non si pone, lo sforzo è teso a migliorare qualcosa di se, tanto per star meglio … poca cosa,  in effetti.

obsoleta.


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tutte le figlie che ho .. – fluidità –

… in realtà sono solo 2.
ma da quando sono in due … mi sembra che la maternità sia diventato altro.
e che il mondo abbia un significato diverso, e che  quindi anche la mia proiezione nel mondo si sia trasformata.
se già avere figli è proiettarsi nel futuro, per tutelare e proteggere, per trasmettere distillando parte di se e della propria storia, per osservare una storia diversa che si dipana e svolge nel tempo; due figlie a distanza di 10 anni, l’una dall’altra, allungano ancora di più questa prospettiva.
il fiammare della preadolescenza della grande, la scoperta del mondo e del macrocosmo, mentre la piccola cerca di dominare la camminata e il microcosmo domiciliare.
fra una decina di anni si replicherà a soggetto.
ma questo ancora non è nulla di ciò che mi travolge.
se della figlia grande è stata l’appartenenza una all’altra, la maternità fertile e morbida, la radiosità totale e rotonda; la piccolina mi mostra l’alterità, la differenza, lo stupore continuo di qualcuno che imprevisto ed imprevedibile, perchè smantella e ricrea il già saputo e il già visto.
e allora la prima maternità va osservata da nuove sfaccettature dove le ombre celano angoli assolati, e i momenti soleggiati raccontano anche delle ombre che passano e sono passate.
e la seconda si espone per essere totalmente nuova, e rassicurante nelle ripetizioni.
essere madre della grande era una parte del puzzle.
la piccola va aggiungendo dei pezzi e il puzzle si va ingrandendo.
la grande è lenta e pacata come le acque di un grande fiume.
ombrosa come sotto un salice piangente.
morbida e femminea.
tonda e liscia.
fluida.
alla ricerca di sguardi.
la piccola è un ruscello, allegro e saltellante.
piena di guizzi e scintillii di onde e schizzi.
forte e amorevolissima.
piena di abbracci.
rapida e squillante.
e allora chi sono io, chi è la madre di queste creature, così diverse e ugualmente significative in questa vita.
una che non vuol dare un confine e un nome a ciò che impara e ciò che insegna …