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Reti e buchi neri (creative commons)

Alcune azioni sarebbero da stupidario se non fossero così irritanti. Almeno per me.

Parlo dell’inveterata abitudine di travestirsi con la pelle dell’orso e poi ringhiare.

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O ancor più, andando nel dettaglio, mi riferisco a quelli che si prendono il merito delle idee altrui, quando non le copiano spudoratamente ….
Nessun creative commons ci salva da questi buchi neri..

Diceva un mio vecchio docente che la creatività nasce guardando le opere altrui, la natura, il mondo, i dettagli.
E poi rinventandoli.
Bello e anche vero.

Quindi le idee nascono per contagio, per mescolanza, per sinergia.
Che male ci può essere ne prendere qui e rimescolare, rimettendo di la’?
Nessuno o molto, dipende.

Lasciamo perdere il dettaglio del possibile transito di soldi, aver una idea buona e venderla e’ redditizio, c’e’ chi non si fa scrupoli si usare le idee altrui, per guadagnare o cercare fama. C’e’ una inveterata pratica universitaria dei docenti che usano i tesisti per far fare ricerca e poi ci scrivono un testo proprio. Nulla di nuovo.
Un collega si prese il merito di una progettazione pluriennale, in una struttura residenziale per disabili, senza averla quasi nemmeno vista, tra lo sconforto di quanti ci avevamo messo corpo e pensieri.

Ma la rete, il web, in una delle sue possibili derive positive, ci insegna e rinnova il valore possibile dello scambio, del saggio uso dei link, della creazione degli degli snodi del sapere, e dei luoghi che generano conoscenza, e dell’incontro con persone o gruppi che la producono. Permette con facilità la pratica della citazione, dello scambio, e talvolta della ricerca possibile e congiunta, dell’ampliamento della rete di significati cui accedere.

E’ anche una questione di netiquette, che si deve presidiare, ricordandosi ogni volta di rendere “merito” a chi ci offre una conoscenza. Come quei libri generosi in bibliografie che ci aprono nuovi filoni di esplorazione, di sapere, di curiosità.
Ma anche di struttura penso alle mille app che permettono di condividere – in tempo reale – immagini sui luoghi da visitare, o dove sostare, sui musei, perfino sul tempo in un certo posto.

E’ recente e rinnovata la visione, triste, di persone che sui social giocano … all’indossatore della pelle dell’orso.

Non per ignoranza ma per un bisogno tracotante di uscire dalla massa.
Negando ogni doveroso credito del proprio sapere, ai libri letti, ai siti visitati, ai propri mentori, alle parole fatte, alle persone stimate.

Personalmente trovo e(ste)ticamente piacevole poter esprimere l’entusiasmo verso una persona che mi stimola la curiosità e il pensiero, così come verso le cose che amo e mi “insegnano”.
Mi permette di scambiare e “cedere” quello che so, di essere una parte vibrante della rete e non un buco nero che assorbe tutta la luce attorno a se.

La rete per fortuna aiuta anche a vedere questi tristi buchi neri e poterli evitare, e nella sua parte migliore permettendo trovare spazi creativi, costruttivi e perché no anche remunerativi.

La rete può essere qualità collettiva, e individuale insieme e luogo capace di insegnare il rispetto per la (possibilità di) ricerca o di buone idee & prassi e il rispetto per ciò che e’ “altro” da noi.

Ps. Come gia’ scritto errori e refusi verranno ricontrollati nel post vacanza, grazie ad una connessione piu’ decente.


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La visione dell’insieme Ovvero del Femminicidio

I numeri e dei dati contenuti dell’articolo della stampa che si intitola “Bimbi senza mamma e papà L’altra faccia dei femminicidi”, che immagino seriamente veritieri, sono preoccupanti.

Ma non è questo il solo nodo della questione.
E partendo dall’inizio mi pare che il nodo originario sia e resti il significato di un legame.

Non compreso, non insegnato, non pensato.

Un legame di coppia che diventa l’unico significato che si e’ capaci di comprendere:
Io e te.

Una sottile traccia che tiene insieme due persone, e che non e’ destinata a diventare parte di un sistema complessivo,  di una rete di significati, materiali, affettivi, parentali, economici.

legame chimico

Resta composto da un solo filo. Che si colloca in una scena in cui ci sono solo due parti: lui e lei; scena inizialmente molto romantica, e che diventa subito dopo desolata e desolante, se non si va a riempire di un gruppo sociale, il lavoro, e la famiglia nella sua struttura reticolare (perché negato e cancellato).

In quella scena, si vuole anche negare la presenza del tempo, e di una storicizzazione dei fatti, costituita di prima, durante e dopo.

Nemmeno i figli ci sono, e se ci sono evidentemente non sono pensati come parte della complessivita’, restano a malapena parte dello sfondo, ma inessenziali all’io/tu. Oppure valgono come accessori di conferma dell’orgoglio riproduttivo.

La parte principale resta sempre quella del legame iniziale uomo-donna, reso incapace di crescere, di essere davvero fertile, evolutivo.

Una volta la cultura di base insegnava/diceva lo “faccio per i figli”, creando azioni e progetti che traevano significati dalla necessita’ garantire un futuro possibile, reale, o sereno a questi figli.
Divenuti, ben presto, parte cospicua di una rete di affetti e significati, che venivano collocati in uno spazio affettivo in cui il legame tu ed io, era origine e genesi, senza pero’ pretendere l’eterno ruolo di protagonista assoluto.

Queste scene della violenza, degli omicidi, delle separazioni che diventano, prima di esser luoghi sanguinari, spazi di stragi emozionali, in cui si pretende di tenere sempre sulla scena solo quello unico, il primo e iniziale legame, io – tu / io = tu/ amo – non amo”.

Così se quel legame si interrompe tutto si frammenta, e ogni possibile mondo crolla, perché’ non si e’ data la possibilità di renderlo sistemico, interconnesso e “significativo”. Perché non si e’ costruita una grammatica e una sintassi relazionale che attutisse i colpi della vita.
E in cui,  un protagonista non (r)esiste la capacità di guardare la scena complessiva, la cosiddetta, figura sfondo, e quindi la rete di significati si sono costruiti o almeno avrebbero dovuto esserlo.

Se un amore non riesce ad accedere alla complessificazione della relazione,  al cambiamento, alla sua progressiva integrazione nella vita reale, ogni mutamento e’ facilmente fallimento totale, se si recide (o solo cambia configurazione nella rete) quel filo, nulla ha più senso, l’altro diventa inutile.

Concellabile con un “semplice” segno, l ‘omicidio.

Perché’ nemmeno i figli, la famiglia, il lavoro hanno un senso, sono presenze, legami che tengono. E sulla scena non riescono nemmeno ad esserci.

Se l’amore, se questa rappresentazione/interpretazione dell’amore è solo questo (un tu/io fusionale), è solo quel  primo di contesto/momento, allora abbiamo da rivedere questa visione, abbiamo da comprendere cosa sia, e insegnarla di nuovo, rispiegando/rispiegandoci la grammatica e la matematica dei sentimenti. Riflettendo sul un dato che amore, legame, relazione, non permettono rapporti di sottrazione, ma di somme e di moltiplicazioni. Talvolta son divisioni, ossia operazioni che generano un equilibrio progressivo che non è togliere ma aggiungere, ridefinire  in modo diversificato.

Femminicidio e’ uno dei prodotti di una società malata, afasica, che non è più in grado di insegnare significato dei legami reticolari e sistemici, e del loro appartenere e afferire a più livelli.
Il cui il momento di inizio (della coppia), e dell’innamoramento, e’ un istante, che cresce nella quotidianità e’ un piano complesso.

I bambini di cui all’articolo sono sinonimo di questa incapacità, non solo di chi uccide, ma di chi accompagna e ignora questa assenza sociale, queste famiglie che diventano buchi neri, che assorbono la luce e nulla mostrano di un fallimento inziale.

Quando io tu non e’ diventato noi, voi, loro, tu e lei, io e lui, io e loro e via di seguito. Quando la pretesa assoluta era io/te maschio/femmina, intessuta con uomini del tutto incapaci di resilienza, amore, capacita’ di cura e autoguarigione, affamati solo di possesso perché incapaci di costruire la propria e altrui vita.

Uomini che non hanno imparato, e a cui non e’ stato insegnato, e che nessuno ha mai guardato divenire adulti nella costruzione del buco nero, … uomini che non hanno mai imparato ad esser uomini e padri.

Di un fallimento così grande abbiamo il dovere sociale, educativo, politico, culturale e genitoriale di parlarne e spiegarlo e raccontarlo, e di significarlo con pratiche di costruzione di reti, di significati, di relazioni e di nessi; a noi stessi, ai vicini, ai figli, ai colleghi, nel lavoro .. E così’ via ..
Stay human

 altri link tematici:

http://27esimaora.corriere.it/articolo/uomini-violenti-incapaci-di-controllarsi-no-sono-lucidi-e-determinati-2/

http://27esimaora.corriere.it/articolo/noi-maschi-dovremmo-occuparci-di-piu-del-femmicidio/

TED Talks Jackson Katz: La violenza sulle donne — è una questione maschile